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Universo birra: fino a spingersi là dove mai si era arrivati prima… o invece no?
Una Pillola di Cultura da Simone Cantoni
Pubblicata il: 17 Febbraio 2023
Birra: un universo in continuo movimento. Verrebbe da dire “in continuo fermento”, se non fosse davvero troppo scontato. Ma insomma, il concetto è chiaro. Ed è un moto perpetuo davvero bello a vedersi, tanto più potendolo fare da dentro. Un panorama complesso, strutturato secondo un ordinamento in famiglie e stili (in cui i secondi rappresentano i sottoinsiemi delle prime), di per sé già decisamente ricco e sfaccettato, per giunta tutt’altro che statico, ma anzi in costante evoluzione e crescita.
Uno spettacolo di fronte al quale non si può se non esclamare: benedetta sia la rivoluzione artigianale! Perché prima della sua esplosione, per conoscere le tipologie una volta “di nicchia” (una Berliner Weisse ad esempio) non c’erano grandi alternative a due soluzioni secche: farlo indirettamente, attraverso testi relativi all’argomento (trovandoli); farlo direttamente vistando i luoghi di produzione. Invece, con l’avvento dei microbirrifici, si è stimolata una benefica curiosità da parte del mercato verso tutti i generi birrari, anche i più peculiari, anche i più archeologici. Con il risultato che il mercato si è articolato esso stesso in una miriade di nicchie: ciascuna delle quali vocata a questo o a quello stile; e l’insieme delle quali consente a ciascun stile di vivere: sì di esistere materialmente anche da noi, in Italia, perché c’è chi lo produce e chi lo consuma. Non solo la Berliner Weisse di cui sopra, ma anche (restando in ambiente tedesco e mitteleuropeo) una Gose, una Lichtenheiner, una Grodziskie.
Oggi l’universo birra è in permanente espansione. Le sue galassie di classificazione: le Lager, le Ales, le ibride e le fermentazioni spontanee.
Oggi l’universo birra (come tutti gli universi che si rispettino) è in permanente espansione. Le sue galassie di classificazione? Quella delle Lager, le basse fermentazioni (per le quali si fa uso di ceppi di lievito attivi al meglio tra 7 e 13 °C); quella delle Ales, le alte fermentazioni (qui abbiamo lieviti più efficaci sopra i 13 °C); poi le fermentazioni ibride (lieviti da bassa fatti lavorare a temperatore da alta o viceversa); le fermentazioni spontanee, che in Belgio si chiamano Lambic (mosti inseminati, appunto spontaneamente, da tutti i microrganismi presenti in quella porzione di spazio); e ancora le fermentazioni miste (derivanti da un mosto in cui la regia umana abbia inoculato, o lasciato intervenire ire, mocrorganismi di diversa natura, come lieviti convenzionali e, insieme, batteri). Al proprio interno, ogni famiglia fermentativa, si articola – lo si è detto – in stili o tipologie: Pils, Helles, Doppelbock e così via, tra le Lager; Bitter, Saison, Hefeweizen, American IPA e compagnia, tra le Ales; Gueze, Kriek, Framboise e altre ancora, tra i Lambic; California Common, Cold Ipa, Kölsch , Altbier eccetera tra le produzioni ibride; Flemish Red Ale, Oud Bruin e altre (accanto alle stesse Berliner Weisse, Gose e Lichtenhainer prima citate), tra le fermentazioni miste.
Oggi l’universo birra (come tutti gli universi che si rispettino) è in permanente espansione. Le sue galassie di classificazione? Quella delle Lager, le basse fermentazioni (per le quali si fa uso di ceppi di lievito attivi al meglio tra 7 e 13 °C); quella delle Ales, le alte fermentazioni (qui abbiamo lieviti più efficaci sopra i 13 °C); poi le fermentazioni ibride (lieviti da bassa fatti lavorare a temperatore da alta o viceversa); le fermentazioni spontanee, che in Belgio si chiamano Lambic (mosti inseminati, appunto spontaneamente, da tutti i microrganismi presenti in quella porzione di spazio); e ancora le fermentazioni miste (derivanti da un mosto in cui la regia umana abbia inoculato, o lasciato intervenire ire, mocrorganismi di diversa natura, come lieviti convenzionali e, insieme, batteri). Al proprio interno, ogni famiglia fermentativa, si articola – lo si è detto – in stili o tipologie: Pils, Helles, Doppelbock e così via, tra le Lager; Bitter, Saison, Hefeweizen, American IPA e compagnia, tra le Ales; Gueze, Kriek, Framboise e altre ancora, tra i Lambic; California Common, Cold Ipa, Kölsch , Altbier eccetera tra le produzioni ibride; Flemish Red Ale, Oud Bruin e altre (accanto alle stesse Berliner Weisse, Gose e Lichtenhainer prima citate), tra le fermentazioni miste.
Ebbene, l’incessante ribollire entro il perimetro di ciascuna famiglia e di ciascuna tipologia determina, venendone in parte determinato, un atteggiamento di simpatia o ritrosia da parte delle varie comunità (fazioni, talvolta) di consumatori. E dunque ogni stile – o, meglio, ogni gruppo di stili – presenta uno stato di salute il cui termometro, sommato a quello degli altri recinti di genere, si traduce nell’andamento generale degli umori espressi dalla platea dei bevitori.
Lambic. basso pH, alto godimento.
Decisamente pimpante, ad esempio, è l’atmosfera nel campo delle fermentazioni non convenzionali: Lambic, altre spontanee, miste. Il reame delle tipologie dette Wild (date le note olfattive selvatiche, come le pellicce animali) e Sour (da queste parti il pH picchia forte in basso): tra le quali molto in auge sono quelle che puntano su acidità garbate, di matrice prevalentemente lattica e citrica, molto spesso elaborate con l’aggiunta diretta di frutta, in polpa o in purea. Si tratta di un filone limitato nelle dimensioni di occupazione del mercato, ma molto vitale e tenuto in alta considerazione, data la particolarità dei suoi contenuti.
La ami o la odi, sì, ma vuoi non provarla?
Considerazioni analoghe, almeno in parte, valgono per il segmento delle Imperial Stout e Porter: il loro spazio vitale è costituito da uno spicchio; ma in quello spicchio si addensano le file di un esercito di sostenitori estremamente agguerrito e ben armato (anche dialetticamente); inoltre, anche chi non nutre, per quell’area tipologica, un grande afflato, tuttavia guarda con interesse ai prodotti in questione, apprezzando la qualità dei risultati, quando qualità ci sia (e lungo lo Stivale, in questo comparto stilistico, abbiamo fior d’interpreti, davvero). Già, la qualità. Ma davvero passa sempre attraverso la premessa della finezza, dell’eleganza? Eeeeeh, insomma. Se ne potrebbe parlare un bel po’, ad esempio focalizzando l’attenzione, in questo ambito produttivo, su un suo ramo specifico: quello delle cosiddette Pastry Stout. Ovvero preparate utilizzando, in conferimento diretto, ingredienti di estrazione pasticcera: sciroppi, frutta secca, canditi, tortini interi… Provocazione o direttrice di ricerca? Eccesso barocco o virtuosismo? Inutile dire che una risposta univoca è impossibile: o le si ama o le si odia…
Tra i settori tipologici un po’ alle corde, invece, troviamo quello facente capo alla scuola belga. Non del tutto, in realtà: le tipologie di riferimento dell’esperienza abbaziale (Dubbel e Tripel soprattutto), così come le Saison, esercitano sempre una discreta seduzione. E in parte pure le Belgian Ales moderniste (alla De La Senne, per capirci), con il luppolo a spartirsi la scena insieme al lievito, nel ruolo di protagonisti. Certo che, invece, gli altri stili, dalla Blanche alla Belgian Strong passando per le Christmas Beer, non godono più del sostegno incondizionato da parte delle schiere di entusiasti che le avevano accompagnate nel periodo precedente e anche immediatamente successivo alla nascita del nostro movimento artigianale nazionale (per convenzione, il biennio 1995-96: allora le scuole prevalenti, lungo la Penisola erano due: quella tedesca con le sue Lager e, appunto, quella belga). E allora perché questo collettivo calo dell’attrazione? Eh, perché… Perché dopo lo sbarco delle birre di ascendenza statunitense, il luppolo ha imposto la sua religione ai danni del lievito, come vettore di note sensoriali. La passione per il combinato frutta matura & spezie si è avviata sul viale del tramonto (trascinando con sé, peraltro, anche la percezione riguardante le Weizen: oggi assai tiepida). La platea, l’arena, da almeno una trentina d’anni palpita per coni e pellet: e di matrice modernista, cioè quando portano alle narici esplosioni di frutta esotica, agrumi e resine.
È il paradiso di APA (American Pala Ale), AIPA (American India Pale Ale) e generi derivati: un’alluvione di tipologie e sottotipologie. Tra le quali il movimentismo è la regola: di più, il fattore evolutivo. Improponibile allora, in quest’area, individuare tendenze di fondo? Non del tutto. I favori di pubblico si orientano via via nella direzione di versioni sempre più chiare e sempre più esplosive al naso; mentre invece (dopo anni di corsa al riarmo anche in tal senso) adesso il gusto sembra premiare esecuzioni dotate di profili amaricanti più sorvegliati, più bilanciati con la matrice maltata.
In generale, si assiste all’affermarsi di una propensione verso prodotti di agevole fruizione: requisito che si concretizza nel modesto tasso alcolico e nella semplicità di ricetta.
È quest’ultimo, un processo di spostamento delle preferenze piuttosto interessante. Che si salda, in parte, con un altro e parallelo: quello volto a prediligere gradazioni alcoliche… dalla cintura in giù. Un orientamento dettato forse anche dal recupero dell’idea del bere come veicolo di socialità: un paradigma al quale sono necessarie birre cosiddette Session: e infatti tra i filoni più in palla, anche tra le American IPA, troviamo proprio le loro varianti a bassa gradazione, battezzate appunto Session IPA. In generale, si assiste insomma all’affermarsi di una propensione verso prodotti di agevole fruizione, di facile beva: requisito che si concretizza da un lato (lo si è anticipato) nel modesto tasso alcolico e dall’altro nella semplicità di ricetta. Ebbene, questo processo ha finito per riattizzare il desiderio, tra l’altro, verso un paio di quadranti stilistici: quello delle birre britanniche da pub, quali Bitter e Mild; quello delle Lager (con Pils e Keller in prima fila). Aspetta aspetta…Ma non erano proprio le basse fermentazioni uno dei primi amori del neonato movimento artigianale italiano? E allora vuoi vedere che l’universo birra (idem come tutti gli universi che si rispettino) potrebbe stare muovendosi secondo una dinamica di espansione e contrazione? E allora, volendo attingere a un’altra immagine, l’indelebile motto fino ad arrivare là dove nessuno era mai giunto prima potrebbe voler dire, anche, un ciclico ritorno alle origini…